In cerca di fortuna

9/29/2006

Sei Italiano? /parte prima

Una delle cose più divertenti di questo primo mese indiano è ricordare tutte le reazioni delle persone a cui ho detto di essere italiano (tassisti, autisti, portieri d'albergo, amici di amici...).

La più comune delle reazioni è di carattere politico: "Come Sonia! (Sonia Gandhi, italianissima, capo del partito di maggioranza in parlamento, il Congress Party).

Ma le più simpatiche sono quelle di carattere sportivo: "Ah, Italy! World Champions!"

Non credevo che il calcio fosse seguito qua (lo sport nazionale è il cricket), ma pare che in molti vedessero le partite di Germania '06 alle 2-3 del mattino. E il bello è che tutti, ma proprio tutti ti dicono che tifavano Italia, soprattutto dopo l'eliminazione del Brasile e che tifavano contro i tedeschi, prima e contro i francesi dopo. Ruffiani? Boh, forse.
Ma la mia risposta è sempre la stessa, con una punta di divertimento, a metà tra l'orgoglioso e il rassegnato. "Yes, World champions."

9/27/2006

Io non sono un fan

Ma la risposta a questa domanda la so ugualmente.

Voi no?

Ma come, è talmente facile!

E' bastato fare cosi'.



P.s. Scusatemi ma non ho resistito. Ok, torno in tema. Sono appena tornato a Mumbai. Il viaggio da Panaji è stato comodo e divertente, visto che l'ho interamente trascorso in compagnia di Pennac. Alla fine del viaggio mi sono sporto sul portellone aperto (in India è risaputo che i portelloni dei treni per lo più rimangono aperti durante il tragitto), col treno in decelerazione, per vedere avvicinarsi l'imponente stazione, patrimonio dell'umanità, il Victoria Terminal. In effetti è stato bello.

9/23/2006

Pensieri sparsi (Ernakulam, Panaji, Mumbai)

Mediamente mi bastano due minuti per avere una prima idea delle persone con cui ho a che fare. Mi basta una smorfia, un mezzo sorriso, uno sguardo, un tono di voce.
Non sto parlando di pregiudizi e neppure sto dicendo che sono infallibile e che la mia prima impressione è sempre quella giusta.
No, anzi, adoro sbagliarmi, adoro essere sorpreso dagli altri.

Rimane però il fatto che due minuti normalmente sono sufficienti per trasformare la mia innata curiosità per gli altri in un noioso senso di déjà vu. Ma ancora peggio, mi bastano due minuti per avere un'idea di massima dei difetti delle persone. E questo è male.

All'estero non è così. Le smorfie sono diverse, hanno significato diverso. Così come gli sguardi, i movimenti del corpo, la pronuncia delle parole. E' un vocabolario sconosciuto per lo straniero, un'ignoranza che quasi diventa una campana di vetro, che dà l'illusione della perfezione e della purezza di pensiero, che ti porta a credere come reale ogni sorriso, ogni gentilezza. E sei contento, sei stupidamente contento, perché ti ritrovi in un paradiso di anime buone. Sai benissimo che non è vero, ma ti piace cullarti dell'idea che lo sia. Ecco, questo è bene. E' un bene ad orologeria, però. Finché non avrò bisogno di un amico. A quel punto diventerà male.

Mi trovo a Panaji, capitale dello stato (a maggioranza cattolica) di Goa. Ci sono arrivato con circa 14 ore di treno da Ernakulam, quattro giorni fa. Tra non molto tornerò a Mumbai.

9/17/2006

Treno Indiano notturno, terza classe

(scritto durante il viaggio notturno Chennai-Ernakulam, di giovedì notte)

Quando mi avevano detto che mi avevano prenotato un treno in terza classe, sinceramente non sapevo che pensare. Avrei voluto dire a quelli della compagnia: "ehm, no guardate ho cambiato idea, sto a Madras per un altro po', se non vi dispiace", ma oramai il danno era fatto. Prenotazione già fatta, costo del biglietto 907 rupie (1200 rupie sono 20 euro).
Tra l'altro mi hanno dovuto prenotare per una città molto più a sud (non ricordo il nome) perché per Cochin il treno risultava pieno. Mentre comprando il biglietto col tragitto più lungo, magicamente si svuotava... non ho ancora ben capito come.

Insomma, queste erano le premesse. Treno pieno, terza classe, tutta la notte. Ed io con Laptop, valigione da 25 chili al seguito e circa QUARANTAMILA RUPIE nel marsupio (e mica le potevo regalare prima di partire...), quattro volte lo stipendio dell'autista che mi ha scorazzato per tutta Madras.

Come dicevo queste erano le premesse. Ma come sempre, la paura precede gli eventi e li ingigantisce. La realtà è che mi trovo in un vagone semi-vuoto, alle 22.00 di sera, insieme a me ci sono solo due persone, un medico-psichiatra (ma vuol diventare pediatra e deve tornare ad Atlanta, Usa per gli ultimi esami di specializzazione) e suo padre. Davanti a me c'è un signore con un altro laptop, la situazione è sonnacchiosa e in 3 o 4 persone (compreso il controllore) m'hanno assicurato che mi sveglieranno mezz'ora prima dell'arrivo.

9/13/2006

Chennai (Madras)

Quella di stasera sarà la mia ultima notte a Madras, anzi a Chennai.
Ci sono stato una settimana ma ho visto un decimo di quanto c'era da vedere, e un po' mi spiace.
Mi spiace aver visto l'enorme spiaggia solo dai finestrini dell'auto, così come mi spiace non aver passeggiato nelle zone più caratteristiche o nelle zone più ricche.

Quel che ho visto, e che mi ha sinceramente impressionato, è stato il tempio di Shiva, l'icona più famosa di Chennai. Pare che i fedeli di Madras debbano recarsi almeno due volte la settimana al tempio per onorare Shiva. Come in tutti i luoghi di culto indiani per entrare bisogna togliersi le scarpe (anche nelle chiese cristiane si fa così!) e, un po' timorosi di farsi male, si può passeggiare per l'ampio e tranquillo spazio circostante al tempio. Dentro il tempio sono ammessi solo i credenti Indù. La cosa impressionante è proprio la tranquillità del luogo, seppur completamente circondato dalla città.

Meno interessante è stata invece la cattedrale di San Tommaso, dove sembra ci siano i resti dell'apostolo Tommaso, ma la storia di come Tommaso sia arrivato in India dopo la morte di Gesù sinceramente mi sembra un po' inverosimile. E in effetti la cara Wikipedia conferma i miei dubbi. Ad ogni modo, mi ha fatto piacere rivedere sotto la cattedrale, seppur in forma di stampa, il famoso quadro dell'incredulità di Tommaso, del Caravaggio.


9/11/2006

Dal tre al sette settembre

Ho riflettuto un po' sulla natura di questo blog e non credo affatto che la forma del diario di viaggio sia la migliore. Naturalmente i post fatti rimangono, ma da ora in poi sarà più un racconto di emozioni casuali che una cronistoria di quel che mi succede. E' pur vero che anche alle emozioni dovrò mettere un filtro, perché per ora è stato tutto un susseguirsi di novità di varia natura.

Ho visto un po' di Mumbai, grazie ad una guida "in italiano" simpaticissima, anche se l'Italiano ahimé lo sapeva davvero poco. Insomma, passo la giornata con questa ragazza, indiana musulmana di 29 anni, ma ne dimostrava almeno 7-8 di meno, che mi fa fare un tour divertente: stazione Vittoriana, cimitero dei Parsi, lavanderia all'aperto (5000 persone a lavare i panni e ottenevano un bianco incredibile!), giardini pensili, Gateway of India, un paio di panoramiche e, ciliegina sulla torta, dopo mia insistenza perché non era prevista dal tour, la moschea sul mare. Che è raggiungibile solo nei momenti di bassa marea. La ragazza mi chiede se può lasciarmi da solo una decina di minuti per andare a pregare. Ne approfitto per fare un giro del luogo. Mi tolgo le ciabatte (marcate Versace in bella vista) per entrare dentro. Ero l'unico turista, e per rispetto verso quelli che pregavano ho preferito rimanere ai bordi per pochi secondi. Sono uscito e sono sceso nella scogliera sul mare subito dietro la moscha. Suggestivo, davvero suggestivo. Non trovo altri aggettivi.

Il resto dei giorni a Mumbai li ho passati per metà negli uffici del signor B., dove potevo connettermi per lavorare e per metà a spasso per i quartieri vicini ad assistere alle varie celebrazioni del Dio Ganesha, culminate il mercoledì con un'incredibile massa di devoti che portava le proprie statue del Dio verso il mare, cerimonia centrale dell'evento.

La cosa divertente è che come un pazzo mi sono avventurato lungo l'itinerario di questi devoti fino ad arrivare io stesso alla spiaggia dei pescatori dove alcuni portavano le statue, con un megafono che mandava a nastro continuo una preghiera in hindi al Dio. Suggestivo... anche se purtroppo, o per fortuna, mi sono perso l'orario "di punta" della manifestazione, perché dovevo tornare in tempo per la prevista cena giapponese all'Hilton hotel di Mumbai, dove si sarebbe celebrato il compleanno del fratello del signor B., A.

Poi il giovedì sono andato in Aereo a Madras, che però ora si chiama Chennai.
Ma ne racconterò alla prossima occasione.

9/09/2006

Continua sabato due settembre

Mi sveglio molto tardi, poco prima delle 13.

Un istante prima di aprire gli occhi mi è parso come di svegliarmi da un lungo sogno confuso, in quel momento non avevo alcun dubbio che mi stessi trovando nel mio letto in camera mia a F.. Nell’istante successivo invece, dopo aver aperto gli occhi, vedo una stanza assolutamente nuova, senza punti di riferimento e mi sono quasi impaurito. Il tempo di un battito di ciglia, nell’istante successivo ho realizzato quel che avevo combinato. Accidenti, sono a Bombay! Davvero!

Mi alzo arrabbiato con me stesso per aver spento la sveglia del cellulare settata per le 9. Non ricordo neppure di averla spenta. So che 3 ore scarse di sonno sarebbero state troppo poche, ma l’idea era quella di abituarmi fin da subito al fuso orario locale (+3 ore e 30 minuti rispetto a casa) e soprattutto, come ospite, di adeguarmi giustamente agli orari dei padroni di casa. Che, pur non sapendo quali siano, di certo non credo comprendano la sveglia all’una di pomeriggio.

In cucina due ragazze vestite di azzurro stanno preparando qualcosa ed una di loro, appena mi vede, si precipita a bussare la porta della camera di U. e S. per avvertire che mi sono alzato. In pochi minuti mi trovo serviti una gran tazza di tè e dei biscotti di vari tipi su un piattino. La signora U. mi chiede se mi va di fare un giro a piedi sotto casa (ah, quasi mi scordavo, ancora non ho descritto niente della ‘casa’!) e io naturalmente mi dico entusiasta dell’idea.

La casa è un grande attico al nono piano di un bel palazzo a sud di Mumbai. La vista dalla sala è qualcosa di incredibile, perché abbraccia praticamente un piccolo golfo della città, piccolo per Mumbai, naturalmente. Questo golfo è adiacente ad un grosso villaggio di pescatori, molto affascinante, ma povero e sporco, dietro al quale è stata costruita praticamente la parte più moderna e ricca della città. Durante le ore di bassa marea, una grossa area di mare si secca quasi completamente lasciando un paesaggio quasi surreale. Poco prima di pranzo, appena tornato dalla simpatica passeggiata con la signora U., mi hanno presentato all’intera famiglia.

Nella casa vivono due famiglie: due fratelli che hanno sposato due sorelle.

Entrambe le coppie hanno due figlie, ma delle quattro ragazze solo la più piccola in questo momento abita la casa. Il pranzo, primo impatto con la cucina indiana, è stato a dir poco ottimo.

Subito dopo il signor B. mi ha detto che per domani mi aveva organizzato un giro dell’intera città con una guida italiana. L’ha prenotata quindici giorni fa per me. Poi mi ha dato 10.000 rupie in contanti (“perché nel fine settimana le banche sono chiuse, così non hai pressioni per cambiare i tuoi soldi, poi me li ridai. Lunedì, la prossima settimana, tra un anno…”).

Credo di non aver mai detto così tanti “grazie” in così poco tempo e mi rompe non aver altro modo che le parole per ringraziarli dell’accoglienza, dell’affetto e della disponibilità che mi stanno dando continuamente. “Io per natura mi fido delle persone e poi I. ci ha detto che sei un bravo ragazzo, quindi considera questa la tua casa, la tua famiglia in India.”

La signora U. intanto, vista la mia palese difficoltà a ricordarmi dei nomi, mi ha scritto in un simpatico biglietto i nomi di tutta la famiglia, figlie assenti e cameriere comprese. Lo riporto (quasi) come mi è stato trasmesso. E’ divertente notare come tutte e quattro le figlie hanno l’iniziale del nome del padre. Chissà se è un caso.

U. S.

S. S.

U. A.

A. A.

Y.

D.

A metà pomeriggio la signora U. e sua nipote A., mi hanno portato a fare un breve tour di parte della città nel quale ho visto, con occhi e bocca spalancati, la famosa stazione ferroviaria Vittoriana. Da notare due ricche figure di merda, fatte entrambe con il fratello di S., A.. La prima, lui mi offre da bere prima di cena e io stupido che gli chiedo del whisky che mi va di traverso e per poco non sbocco in terra. La seconda, a mezzanotte, mentre attendevo l’ora per chiamare C., mi addormento nella “family room” vicino camera sua. Avrò russato tanto da svegliarlo? Non lo so e forse preferisco non saperlo. L’unica cosa che so è che se non mi svegliava lui io stavo ancora là a dormire sul divano come uno scemo.

Sabato due settembre

Recuperato il bagaglio e svolto le varie formalità burocratiche, esco nell’area pubblica, dove vengo identificato immediatamente dall’autista del signor B., che sta sventolando di fronte a me un grosso cartello con scritto il mio nome, senza errori. Non dimenticherò mai le primissime sensazioni avute appena uscito dalla zona ad aria condizionata. Un gran caldo, umido, umidissimo, ed una pioggia torrenziale, e un miscuglio indecifrabile di odori, e un caos di persone che stavano attendendo davanti al portone dal quale ero uscito. Provo a presentarmi, ma dopo una fugace stretta di mano, l’autista prende il mio carrello e mi fa cenno di seguirlo. Immediatamente altre due o tre persone iniziano a seguirci sotto la pioggia battente, con la speranza di poter aiutare col bagaglio per avere in cambio qualche soldo. Naturalmente la pioggia torrenziale termina qualche secondo dopo esser entrati in macchina. L’autista è stato di pochissime parole per tutto il viaggio. Ho provato ad attaccargli bottone in vari modi, ma non c’è stato verso. Penso non fosse così entusiasta della missione notturna che gli avevano affidato.

All’arrivo, dopo quasi un’oretta di macchina, vengo accolto dalla moglie del signor B., U.. Appena mi vede si apre in uno splendido “welcome” e mi abbraccia calorosamente. Io, colto alla sprovvista da tanto affetto, e consapevole di non essere il massimo dell’igiene, dopo circa 20 ore di viaggio, rimango un po’ rigido. Parliamo per qualche minuto in sala. Io mi scuso per l’orario che l’ha costretta ad alzarsi così presto, mentre lei si affretta a precisare che devo considerarmi come a casa mia, come un membro della famiglia. Dopo pochi minuti incontro anche il signor B., S.B., un uomo distinto e carismatico come non ne avevo mai conosciuti prima. Rimango stupito di quanto poco avessi immaginato questo momento prima che accadesse, da come sarebbe stata la loro accoglienza ai loro stessi volti. In ogni modo, qualunque aspettativa avessi potuto avere, sarei ugualmente rimasto sorpreso, perché era una situazione semplicemente impossibile da prevedere.

La signora U. è una donna di una dolcezza e di una gentilezza infinita e mi ha letteralmente disarmato. Così come suo marito S., che alla gentilezza unisce la franchezza e la lucidità delle persone positive e abituate a prendere decisioni. Vista l’ora naturalmente trascorriamo pochi minuti insieme, giusto il tempo di presentarci e poco di più. Mi hanno dato la camera di fronte alla loro. E’ della figlia minore, che adesso vive a New York. Mi addormento verso le 6.30 osservando incuriosito le sue foto vicine al letto.

Continua primo settembre

Il volo Firenze - Francoforte è durato il tempo di un batter d’ali Il cielo era assolutamente sgombro di nuvole e il mio posto vicino al finestrino era davvero l’ideale per potersi godere il panorama: bellissimo.

Per alcuni istanti sono riuscito ad abbracciare con lo sguardo tutto il percorso dell’Arno da Firenze fino al mare. Sembrava farlo apposta, accidenti, la cartolina più bella che potessi immaginare del luogo dal quale, praticamente, sto fuggendo. E come se non bastasse, l’Emilia Romagna e poi il Veneto, il Trentino… anche loro si mostravano nel loro splendore, nella mattina italiana più bella che ricordi.

L’aeroporto di Francoforte è stato un diversivo abbastanza simpatico, ma purtroppo non era grande abbastanza per poter rimanere tale per otto ore. E la D-Telecom aveva tariffe troppo elevate. Comunque sono riuscito ad installare la webcam e a fare la prova video-chiamata con skype, dopo aver buttato giù dal letto CaR con VoipStunt ed averle praticamente ordinato di andare al computer per connettersi. Dalle poltroncine disseminate per tutto l’aeroporto ho visto gente di tutti i tipi e di tutte le nazionalità mentre rincorrevano o attendevano stancamente (come me) il proprio volo. Ancora devo capire come mai tutte, ma proprio tutte, le code ai check-in per le destinazioni americane fossero così incredibilmente affollate. Metà Stati Uniti stava passando per Francoforte?

Purtroppo la risposta è meno stupida, o più stupida, dipende dai punti di vista: semplicemente le fortissime disposizioni di sicurezza per arrivare negli Stati Uniti, al momento, non consentono uno smaltimento veloce delle attese ai check-in.

In qualche modo, ciondolando da una poltroncina all’altra, arrivo all’ora X.

Il volo Francoforte – Bombay (all’aeroporto la stessa Air-India la chiama ancora Bombay), previsto per le 16.15, parte con pochi minuti di ritardo. Un volo strano, dove ho trascorso sette ore praticamente da solo, senza nessun passeggero nei posti intorno a me. Il cibo, incredibilmente, era per lo più buono, a parte un intruglio giallastro che ho messo da parte appena assaggiato. In volo riesco a dormire un po’ e vengo svegliato dallo steward che gentilmente mi invita ad allacciarmi le cinture di sicurezza, perché siamo in fase di atterraggio.

9/05/2006

Primo settembre

Potrei scrivere un libro di parole e non sarebbero ancora sufficienti per descrivere l’intera giornata, iniziata tra le braccia di C., trascorsa quasi per intero all’aeroporto di Francoforte e conclusa col mio arrivo a Bombay. Anzi, a Mumbai, che è il suo nome attuale.

C. era sorridente, come lo è quasi sempre stata nei giorni che hanno preceduto la mia partenza. Non so che pensare, non so come sia riuscita a far sembrare normale una situazione così particolare, così piena di sentimenti contrastanti come quella che abbiamo vissuto.

C. è una gran donna e io a volte davanti a lei mi sento un uomo troppo piccolo; se penso che questo mio viaggio in cerca di fortuna rischia di togliermi la fortuna più grande che mi è mai capitata, lei... È meglio che non ci pensi, non mi piace sentirmi così stupido.