In cerca di fortuna

9/09/2006

Continua sabato due settembre

Mi sveglio molto tardi, poco prima delle 13.

Un istante prima di aprire gli occhi mi è parso come di svegliarmi da un lungo sogno confuso, in quel momento non avevo alcun dubbio che mi stessi trovando nel mio letto in camera mia a F.. Nell’istante successivo invece, dopo aver aperto gli occhi, vedo una stanza assolutamente nuova, senza punti di riferimento e mi sono quasi impaurito. Il tempo di un battito di ciglia, nell’istante successivo ho realizzato quel che avevo combinato. Accidenti, sono a Bombay! Davvero!

Mi alzo arrabbiato con me stesso per aver spento la sveglia del cellulare settata per le 9. Non ricordo neppure di averla spenta. So che 3 ore scarse di sonno sarebbero state troppo poche, ma l’idea era quella di abituarmi fin da subito al fuso orario locale (+3 ore e 30 minuti rispetto a casa) e soprattutto, come ospite, di adeguarmi giustamente agli orari dei padroni di casa. Che, pur non sapendo quali siano, di certo non credo comprendano la sveglia all’una di pomeriggio.

In cucina due ragazze vestite di azzurro stanno preparando qualcosa ed una di loro, appena mi vede, si precipita a bussare la porta della camera di U. e S. per avvertire che mi sono alzato. In pochi minuti mi trovo serviti una gran tazza di tè e dei biscotti di vari tipi su un piattino. La signora U. mi chiede se mi va di fare un giro a piedi sotto casa (ah, quasi mi scordavo, ancora non ho descritto niente della ‘casa’!) e io naturalmente mi dico entusiasta dell’idea.

La casa è un grande attico al nono piano di un bel palazzo a sud di Mumbai. La vista dalla sala è qualcosa di incredibile, perché abbraccia praticamente un piccolo golfo della città, piccolo per Mumbai, naturalmente. Questo golfo è adiacente ad un grosso villaggio di pescatori, molto affascinante, ma povero e sporco, dietro al quale è stata costruita praticamente la parte più moderna e ricca della città. Durante le ore di bassa marea, una grossa area di mare si secca quasi completamente lasciando un paesaggio quasi surreale. Poco prima di pranzo, appena tornato dalla simpatica passeggiata con la signora U., mi hanno presentato all’intera famiglia.

Nella casa vivono due famiglie: due fratelli che hanno sposato due sorelle.

Entrambe le coppie hanno due figlie, ma delle quattro ragazze solo la più piccola in questo momento abita la casa. Il pranzo, primo impatto con la cucina indiana, è stato a dir poco ottimo.

Subito dopo il signor B. mi ha detto che per domani mi aveva organizzato un giro dell’intera città con una guida italiana. L’ha prenotata quindici giorni fa per me. Poi mi ha dato 10.000 rupie in contanti (“perché nel fine settimana le banche sono chiuse, così non hai pressioni per cambiare i tuoi soldi, poi me li ridai. Lunedì, la prossima settimana, tra un anno…”).

Credo di non aver mai detto così tanti “grazie” in così poco tempo e mi rompe non aver altro modo che le parole per ringraziarli dell’accoglienza, dell’affetto e della disponibilità che mi stanno dando continuamente. “Io per natura mi fido delle persone e poi I. ci ha detto che sei un bravo ragazzo, quindi considera questa la tua casa, la tua famiglia in India.”

La signora U. intanto, vista la mia palese difficoltà a ricordarmi dei nomi, mi ha scritto in un simpatico biglietto i nomi di tutta la famiglia, figlie assenti e cameriere comprese. Lo riporto (quasi) come mi è stato trasmesso. E’ divertente notare come tutte e quattro le figlie hanno l’iniziale del nome del padre. Chissà se è un caso.

U. S.

S. S.

U. A.

A. A.

Y.

D.

A metà pomeriggio la signora U. e sua nipote A., mi hanno portato a fare un breve tour di parte della città nel quale ho visto, con occhi e bocca spalancati, la famosa stazione ferroviaria Vittoriana. Da notare due ricche figure di merda, fatte entrambe con il fratello di S., A.. La prima, lui mi offre da bere prima di cena e io stupido che gli chiedo del whisky che mi va di traverso e per poco non sbocco in terra. La seconda, a mezzanotte, mentre attendevo l’ora per chiamare C., mi addormento nella “family room” vicino camera sua. Avrò russato tanto da svegliarlo? Non lo so e forse preferisco non saperlo. L’unica cosa che so è che se non mi svegliava lui io stavo ancora là a dormire sul divano come uno scemo.