In cerca di fortuna

11/10/2006

Articolo su Mumbai

Questo è un mio articolo, scritto circa un mese fa, che è stato pubblicato da una simpatica rivista italiana.
Non conoscendola, avevo completamente sbagliato il "target" di lettori, per cui me l'hanno giustamente modificato in alcune parti, togliendo per validi motivi tra l'altro il riferimento agli attentati dell'11 luglio 2006.

Questo però è l'originale:

La stagione dei monsoni è appena finita e nei prossimi mesi Mumbai dovrà fare a meno di quella scrosciante pioggia calda che tutti i giorni la ripuliva e la dissetava. L’umidità ha allentato la sua morsa, le strade sono già aride e polverose e gli odori speziati del colorato mercato di Colaba adesso arrivano direttamente alle narici, prive ormai di quel filtro che solo l’odore della pioggia fresca riusciva a creare. I giornali già parlano di emergenza idrica, il prestigioso “The Times of India” calcola i milioni di metri cubi d’acqua che la città non sarà in grado di produrre per sé stessa, e dalle parole usate si intuisce che per loro questo è il classico e terribile tormentone d’ottobre, puntuale come la nostra emergenza neve a Lagonegro. La scarsa umidità ad ogni modo rende finalmente piacevoli le lunghe passeggiate: dal mercato di Colaba alle bancarelle della Colaba Causeway, e poi il favoloso Taj Mahal Hotel, il celebre arco sul mare “Gateway of India”, lo storico cinema Regal, il museo nazionale “Prince of Wales”, la grande Mahatma Gandhi Road, la fontana dei fiori, la stazione ferroviaria Churchgate, fino ad arrivare al Marine Drive e al Chowpatty Beach, dove Mumbai nasconde alcuni dei suoi locali più trendy ed esuberanti. Una passeggiata in mezzo ai clacson incessanti, in mezzo alla frenesia dei manager rampanti in giacca e cravatta e all’immobilità delle persone che dormono per strada. Ed ogni momento, ogni metro, ogni bancarella, ogni persona che si incontra e ti rivolge un sorriso, può essere qualcosa di davvero speciale. Così i pensieri scivolano via davanti a questa normalità distante, caotica e un po’ crudele, fatta di splendore e miseria, di lustrini e sporcizia, mischiati insieme come la puzza dello smog e l’odore del pollo al curry. Osservando il monumentale “Gateway of India”, viene da pensare che nell’immaginario occidentale il vecchio nome della città, Bombay, forse era ancora troppo legato agli sbiaditi ricordi del passato coloniale inglese. E' bello pensare che magari è proprio per questa ragione che gli indiani dieci anni fa l’hanno voluta rinominare Mumbai, imponendo il vecchio nome in lingua marathi. Naturalmente non è vero, le ragioni sono altre, però il nuovo nome idealmente rende giustizia ad una città che si sta imponendo al mondo come nuovo centro economico e culturale, di grande interesse e di enorme attrazione per chiunque. L’aria che si respira è proprio quella della città nuova, la città delle opportunità da offrire, da cogliere e da conquistare, una città che rincorre costantemente sé stessa, senza mai peraltro rinnegare una briciola della propria sfaccettatissima identità, con tante realtà umane frammentate e indipendenti, dove il concetto di etnia si fonde con il concetto di religione e di identità sociale. Neppure il linguaggio riesce ad amalgamare completamente queste differenze, perché se i ceti più agiati parlano regolarmente inglese, a casa come in ufficio, per strada le persone comuni usano l’hindi e il marachi. E’ un multiculturalismo profondo, radicato nello stile di vita e intessuto di significati, che solo in parte viene addolcito dalle spinte uniformanti del mercato globale. Per questo motivo Mumbai è una città unica, perché ogni differenza viene gelosamente preservata e mai messa in contrasto. Viene semplicemente accostata. Come lo splendore dell’esclusivissimo “cricket club” e i vecchi palazzi neri adiacenti, come la due bellissime strutture europee dell’Università di Bombay e della stazione ferroviaria Victoria Terminus (o come si chiama adesso, in onore di Shivaji, Chhatrapati Shivaji Terminus, o CST), veri e propri palazzi gotici, il cui fascino è aumentato proprio dall’unicità stilistica rispetto a tutto ciò che li circonda. La stazione Vittoriana non è solo il monumento più bello di Mumbai, è un’esperienza da vivere. E’ enorme: migliaia di persone in corsa o in attesa, binari lunghissimi, aria viziata dal sovraffollamento e dai sempre presenti odori speziati delle bancarelle, facchini, tassisti e poliziotti ovunque. I binari della stazione vittoriana infatti, così come quelli di tutte le stazioni dell’India, adesso sono accessibili solo a chi ha il biglietto del treno, oppure un biglietto di accesso dal prezzo simbolico (3 rupie, cioè 5 centesimi). E’ l’unico momento concreto in cui Mumbai ricorda a sé stessa di essere ancora una città ferita, perché questo espediente antiterrorismo (adesso ogni poliziotto nella stazione ha un motivo per fermarti e controllarti) è stato pensato dopo il terribile undici luglio scorso, il giorno in cui dalla grande stazione di Churchgate, ultimo terminale a sud di Mumbai, partirono sette vagoni, in sette treni locali, carichi di persone e di tritolo, che esplosero in mezzo alla città. I responsabili dell’attentato sono stati da poco arrestati, a fine settembre, ma la città era già andata avanti con le proprie forze, senza cambiare i propri equilibri, senza cambiare la propria pelle.